Con un blitz ferragostano Google ha spiazzato un po’ tutti acquistando Motorola Mobile Holding per 12,5 miliardi di dollari, 8,67 miliardi di euro: nel decennio dell’esternalizzazione di massa di produzione e assemblaggio in Asia — dopo che economisti, analisti e apologeti del primato della finanza sull’industria avevano dichiarato la fine dell’era del manifatturiero — il colosso degli algoritmi e del software ha staccato un assegno controcorrente che accresce il proprio peso specifico industriale. Google, che aveva già conquistato con la piattaforma Android il mercato dei sistemi operativi, entra così a 360 gradi nel business degli smartphone e dei tablet. Una mossa strategica per un gruppo il cui fatturato da circa 30 miliardi è troppo web advertising-dipendente (28,2 miliardi su 29,3 totali). È vero che Motorola Mobile significa anche 17 mila brevetti e non solo hardware, e, dunque, la scalata va letta anche in questa direzione, ma la storia degli ultimi anni non sembrava lasciare dubbi: molte grandi aziende si sono liberate dell’integrazione verticale come fosse una zavorra. L’Ibm — che pur avendo nella sostanza inventato il personal computer moderno aveva sottostimato l’importanza del software al proprio interno a tutto vantaggio di un giovanissimo e scaltro Bill Gates — ha ceduto nel 2004 per 1,75 miliardi le «macchine» alla cinese Lenovo diventando una società di «consulenza» immateriale. La Microsoft, che pur essendo un’azienda sostanzialmente di software soffre del fatto di essersi sviluppata nell’era pre-Internet, aveva preferito solo pochi mesi fa un take over su Skype da 8,5 miliardi. La stessa Google, d’altra parte, aveva tentato la conquista di Groupon, la società di social shopping, per 8,5 miliardi.
A prevalere è un po’ ancora il modello Apple, hardware più software, e infatti c’è chi vede nella nascita del primo vero Google-fonino una sfida ancora più accentuata ad iPhone e iPad. Anche se la filosofia open source alla base del bilancio del gruppo di Mountain View sembra sposarmi di meno con l’integrazione verticale blindata. Il take over su «Moto», la più grande operazione di acquisizione nella storia del gruppo, è la prima del fondatore Larry Page, nelle vesti di nuovo ceo. Page si è apprestato a spiegare che nulla cambia nel rapporto con i produttori di smartphone: Google resta open source e l’operazione serve a proteggere Android dalla guerra delle cause per brevetti. Ma il sospetto che possa trattarsi di una tattica per tenere il mercato tranquillo è forte: l’operazione deve infatti superare i giudizi delle authorities Usa e delle proteste da parte dei partner industriali potrebbero non giovare, costringendo il gruppo a pagare la penale, altissima per qualunque standard, da 2,5 miliardi (il 20%).
La notizia ha fatto partire una centrifuga nella quale è stata risucchiata tutta l’industria «tech»: Rim, l’azienda canadese che produce i BlackBerry, finita in una grave crisi di fiducia, ha guadagnato lunedì oltre il 10% (Wall Street era aperta). Nokia ieri ha portato a casa un rialzo del 14,74%. A spiegare l’interesse per queste aziende è stato Charles Golvin, analista di Forrester Research: se un’azienda decotta come Motorola vale 12,5 miliardi allora è evidente che gli altri produttori (Nokia ha di gran lunga il più importante portafoglio brevetti) sono sottostimati. Da ieri Stephen Elop, il canadese ex Microsoft chiamato a risanare il gruppo finlandese, è passato dall’essere uno dei manager più criticati del settore per aver preferito l’accordo con Windows 7 a quello con Android a uomo che legge nella sfera di cristallo: la sua premonizione sulla necessità di un terzo ecosistema oltre ad Android e iOs (Apple) ieri si è avverata. A uscire vincitore dal deal potrebbe essere Windows 7, che adesso diventerà cool. A uscirne confusi sono gli asiatici come Htc, Samsung e Huawei che avevano sposato Android e che adesso rischiano di finire in una sorta di serie B se Google favorirà se stessa negli aggiornamenti. E poi, con questa carenza di buone notizie sui mercati, c’è anche chi crede in nuovi deal.