Prodotto dalla storia travagliata, il primo Borderlands. Anticipato da un trailer molto promettente, doveva essere uno sparatutto sui generis stilisticamente non poi così dissimile dal “Gears of War pensiero” che imperversava in quegli anni. Avete presente, no? Tutti gli sviluppatori, seguiti a ruota dai grafici, si erano innamorati dell’Unreal Engine 3 e pretendevano di copiare l’opera summa di Cliff Bleszinski, imitandone il design fino alla nausea. Peccato che, oltre a non riuscirci, in molti (troppi) fecero l’errore di sottovalutare la gestione reale del motore di Epic, che era sì un SDK buono e solido, ma, al tempo stesso, era anche pieno di insidie se non manovrato da mani capaci. I ragazzi di Gearbox, probabilmente, se ne accorsero per tempo: con il loro Borderlands avevano obiettivi assai ambiziosi, e buttarli alle ortiche non era pratica consigliabile. Non volevano fare l’ennesimo FPS fantascientifico: l’idea era di miscelare elementi tipici dei giochi di ruolo a una categoria, quella degli sparatutto in prima persona, distante eoni da simili concetti. Il rischio maggiore era di creare un prodotto open world con un motore non proprio snellissimo nel gestire ambienti vasti: puntare su una grafica semi-realistica avrebbe sicuramente rappresentato un pericolo aggiuntivo da non sottovalutare. La svolta decisiva avvenne con la scelta di optare per un look cartoonesco, quasi da comic americano, in modo da infondere una personalità ben precisa a tutta la produzione e poter dare vita a un mondo visivamente particolare e unico. Un uso accorto del celshading, non particolarmente forzato, ha donato a Borderlands una personalità che ben pochi titoli odierni possono vantare. Ma non di sola grafica si vive e Gearbox questo lo sapeva bene. CI SERVONO PIÙ ARMI Borderlands non è il solito FPS, e non mi riferisco unicamente alla sua natura figlia dei sandbox game. Fin dall’inizio, l’elemento ruolistico è fondamentale nell’ecosistema generale, come testimonia il momento in cui ci viene chiesto di scegliere una classe fra le quattro disponibili. Questo dà modo di decidere quale stile adottare, passando dai ponderati Mordecai e Lilith (rispettivamente Cacciatore e Sirena) ai più fracassoni e “face to face” Brick e Roland (Berserker e Soldato), con l’ultimo addirittura dotato di un torretta in grado di far fuoco autonomamente. Poi, tutto viene sapientemente affogato in una pletora di armi d’ogni genere e fattura. Sì, perché – è bene che non ve lo dimentichiate mai – la componente base di Borderlands è proprio questa: fucili, pistole, mitra, lanciarazzi e chi più ne ha più ne metta. Stiamo parlando di oltre 17 milioni di sputafuoco, generate in modo del tutto casuale attraverso routine procedurali, che di fatto impediscono al giocatore di trovarsi con lo stesso arsenale in ogni ogni partita. Esistono, inoltre, tonnellate di statistiche legate sia alla crescita del personaggio, sia alle armi stesse, con una marea di va rianti che includono precisione, cadenza, velocità di ricarica ed eventuali effetti elementali, compresi fuoco, elettricità e acido corrosivo. Come World of Warcraft insegna, poi, l’efficacia di ogni gingillo varia sia in base al livello di esperienza (nostro e richiesto per impugnare l’arma), sia in base al colore che lo rappresenta, che determina rarità e valore. Del resto, la compravendita è un’altra delle caratteristiche con cui occorre confrontarsi piuttosto spesso, poiché l’inventario a nostra disposizione è assai limitato e richiede frequentemente di essere svuotato, almeno all’inizio. Come liberarsi dei vari drop raccolti in giro o lasciati cadere dalle membra dei nostri poveri nemici è affare semplice: basta venderli in qualche distributore automatico, di cui è costellato il mondo di gioco. Ehi, attenzione, quanto scritto appartiene al primo Borderlands… nel secondo sarà cambiato tutto, giusto? No, assolutamente. Ma non abbiate fretta, ci torniamo dopo. JACK IL BELLO MUST DIE Chi ha giocato (e finito) il primo titolo della serie ricorderà che, per tutta l’avventura, abbiamo avuto a che fare con una presenza femminile eterea, l’Angelo, un’Intelligenza Artificiale che ci ha guidati fino alla misteriosa Cripta. Sappiamo tutti come è andata a finire (e, ve lo dico subito, nell’intro vi sarà allegramente spoilerato il finale del prequel), ma quel che non potevamo immaginare riguarda la presenza di una seconda Cripta, dove si celerebbe qualcosa di così potente da cambiare per sempre le sorti di Pandora. Le cose non saranno per nulla semplici, poiché a questo giro non dovremo confrontarci “solo” con bestie immonde e banditi di ogni risma, ma avremo contro nientemeno che il capo di Hyperion Corporation, Jack il Bello, un tizio tanto antipatico quanto potente, spalleggiato da un esercito fra i più micidiali dell’universo. Stiamo parlando di una schiera pressoché infinità di robot e cyborg di dimensioni e forme variabili, caparbi, resistenti e completamente incapaci di fermarsi di fronte a qualsivoglia genere di attacco. Sono avversari formidabili, che ci metteranno a dura prova nelle tonnellate di missioni che ci aspettano. Come sempre, i compiti da portare a termine saranno suddivisi in primari e secondari, ma va da sé che anche le quest minori diventeranno parte integrante della nostra avventura, essendo essenziali per crescere di livello con il nostro alter ego, guadagnando così l’accesso ad armi e scudi più efficaci. Per rendere la vita un po’ meno dura potremo fare affidamento anche sulle reliquie, introdotte proprio in Borderlands 2, capaci di incrementare alcune statistiche, come i già noti Mod di Classe. Ritornando al discorso missioni, ho apprezzato come, in alcuni casi, non si venga costretti a ripetere tutto il livello ogni volta che si muore, come si verificava invece nel predecessore. I level designer hanno introdotto scorciatoie e passaggi più ravvicinati, eliminando quasi totalmente il backtracking, che generava tedio e fastidio in molte situazioni. Questo significa che il gioco è, di fatto, più semplice? No, per niente: il livello di difficoltà non è stato abbassato di una virgola. Anzi, per dirla tutta, le prime ore offrono un gameplay da “calci sulle gengive” per almeno un paio delle quattro classi disponibili. Con un po’ di pazienza, tuttavia, è possibile venire a capo anche dei momenti più frustranti: l’importante è entrare nell’ottica che non si può proseguire nella storia principale ignorando le quest secondarie. Del resto, il bello di questa produzione sta proprio nella sua mostruosa vastità, che non lascia molto spazio a un modello di gameplay “mordi e fuggi”, ma che può regalare immense soddisfazioni e soprattutto una montagna di ore di gioco. Mica male nel panorama odierno, non trovate? FUCILE VINCENTE NON SI CAMBIA Scrivevamo, poco fa, che saremmo tornati sul discorso “differenze” tra Borderlands e il suo seguito. Il momento è giunto: cominciamo dicendo che chi si aspettava stravolgimenti epocali, specialmente per quanto riguarda la gestione dell’arsenale bellico, rimarrà piuttosto deluso. Gearbox ha preferito migliorare senza stravolgere quanto di buono fatto precedentemente, limando e correggendo alcune imperfezioni che rendevano certi aspetti un po’ troppo legnosi. Va inoltre chiarito un punto piuttosto discusso nei forum di mezzo mondo, che riguarda la presenza del crafting delle armi. Ci spiace, ma anche a questo giro non è possibile crearsi il mitra dei sogni assemblando parti recuperate in giro per le mappe, come qualcuno si augurava. Non disperate: ci sono ancora milioni e milioni di armi, ed è stato introdotto un nuovo aspetto elementale, la contaminazione, che “infetta” i nemici, renden doli più deboli e sensibili al piombo dei nostri pr
oiettili. Rimane identica la gestione degli slot, con un massimo di quattro armi richiamabili rapidamente via shortcut (ma solo dopo un certo livello: all’inizio ne abbiamo due), e dell’inventario generale, di dimensioni inizialmente contenute ma migliorabili. Questa volta, tuttavia, non bisognerà salvare i vari Claptrap per poter disporre di spazio aggiuntivo, né convincere gli amici a cliccare sui link di dropbox. Basterà, infatti, spendere una nuova moneta, che risponde al nome di Eridium e altro non è se non un minerale piuttosto raro che fa molta gola a quel pazzo furibondo di Crazy Earl. Il vecchio sarà disposto a venderci upgrade relativi alle dimensioni dell’inventario, nonché ai caricatori delle armi, in cambio di qualche lingotto viola. E qualora lo spazio non fosse ancora sufficiente, potremo sempre lasciare parte del nostro “raccolto” in alcune zone specifiche, come una cassaforte su Sanctuary, la città che ci accompagnerà per buona parte del gioco, o un nascondiglio segreto (si fa per dire…) di Claptrap. Un’altra cosa che non ha subito ritocchi è il vestiario. Come nel primo Borderlands, anche in questo caso non esistono armature né, tantomeno, componenti con cui vestire il nostro eroe. L’unica variante, meramente estetica, è rappresentata dal colore degli abiti, selezionabile da una serie di combinazioni predefinite, molte delle quali nascoste in giro per i vari livelli di gioco e sbloccabili con un paio di click una volta recuperato il loot giusto.