«Sapete perché le vendite vanno male? Perché questi prodotti fanno schifo». 1996: appena tornato alla Apple dopo gli anni dell’ «esilio» alla NeXT, Steve Jobs convoca i dirigenti del gruppo e, senza perdere tempo in convenevoli, li alza da terra urlando il suo disprezzo. Chi lo ha conosciuto bene giura che, se fosse ancora vivo, oggi a Cupertino il fondatore della Apple avrebbe fatto tremare i vetri gridando la sua rabbia. Non per la qualità dei prodotti che è straordinaria, tanto che tutti cercano di copiare iPhone e iPad, ma per il disastro delle mappe, uno dei servizi più usati dai clienti di computer e smartphone. Il nuovo software cartografico, sostitutivo di quello di Google, appena inserito nel nuovo sistema operativo iOS 6 e negli iPhone 5 in vendita da ieri in molti Paesi del mondo (ma non ancora in Italia), è un vero «flop». Mappe molto meno dettagliate di quelle di Google, l’ex alleato divenuto nemico mortale. Una topografia più elementare ma, soprattutto, piena di errori. A Milano la Stazione Centrale, spostata di una manciata di metri rispetto alla sua reale collocazione, è finita a via Napo Torriani, di fronte all’hotel Augustus. A Firenze la chiesa di SantaMaria del fiore è diventata «dei fiori». Poco male rispetto a quello che è capitato altrove: città svanite come Straford-upon-Avon (la patria di Shakespeare) oppure finite in mare come Leknes in Norvegia. Strade spezzate, alberghi e musei localizzati in mezzo a un fiume, viadotti spiaccicati al suolo nella rappresentazione in 3D, la Statua della Libertà sparita dalla baia di New York. E la stazione ferroviaria di Paddington, sparita dalla mappa di Londra, ricompare in quella dell’Ontario, Canada, mentre il fiume spagnolo Ebro è finito in Brasile. Alla Appleminimizzano, forti delle vendite record: nonostante il guaio delle mappe, ieri da Londra a Sydney un esercito di seguaci della tecnologia e del design Apple si è messo in fila davanti ai negozi della mela. Il gruppo si è limitato a spiegare che quello delle mappe è solo un inizio: un sistema che, essendo basato su una «nuvola» digitale aperta, migliorerà rapidamente anche grazie al contributo degli utenti. Tutto vero: Google ha impiegato dieci anni per arrivare al sistema attuale, Apple comincia ora. Ma si chiama, appunto, Apple, e ha un’immagine di eccellenza: non dovrebbe permettersi di lanciare un prodotto non ancora a punto. Ma l’ostilità nei confronti di Google ha giocato un brutto scherzo ai capi di Apple. Applicando una direttiva di Steve Jobs, che nell’ultimo scorcio della sua vita aveva dichiarato guerra alla società fondata da Page e Brin, il gruppo di Cupertino ha eliminato GoogleMaps dal suo sistema. Ma ha avuto troppa fretta e —presunzione o eccesso di orgoglio — non ha sostituito quelle di Google con le mappe Microsoft: l’unica azienda, assieme a Nokia, ad avere una cartografia affidabile e consolidata. Insomma, l’azienda di Jobs ha deciso di fare da sola, partendo dalla cartografia di TomTom. Ma questa società è specializzata in mappe per navigazione che sono poco dettagliate. A quanto pare, Apple le ha usate come base sovrapponendoci sopra una serie di elementi fisici — fiumi, boschi, viadotti —e poi ha acquistato da un’altra società, Yelp, la localizzazione degli esercizi pubblici: bar, ristoranti, alberghi, teatri e musei. Nell’operazione, complessa e su scala planetaria, sono emersi vari errori. Nella logica della Rete ci sta: si parte con la versione «beta» e si migliora in corso d’opera. Ma qui l’opera c’era già: le mappe di Google. Secondo gli ottimisti alla fine ci saranno vantaggi per gli utenti: cacciata dal cuore dei telefonini Apple, GoogleMaps rientrerà come applicazione: la richiesta è già quasi pronta. Potremo, così, scegliere tra sistemi alternativi. A meno che Cupertino non si rifiuti di omologare l’«app» di GoogleMaps. Ma allora l’affare diventerebbe un caso politico di prima grandezza.