Una vera sfortuna: proprio due settimane dopo la scadenza della garanzia, la batteria del notebook ha smesso di funzionare. Alcuni cellulari si rompono troppo presto e la stampante ink-jet si rifiuta di stampare nonostante le cartucce siano state sostituite di recente. Scene come queste in Italia (e ovunque nel mondo) si ripetono milioni di volte. Riflettete: negli ultimi cinque anni quante volte vi siete liberati di un dispositivo volontariamente, perché è arrivato un prodotto nuovo sul mercato, e quante volte invece lo avete fatto costretti da un guasto? Quanti elettrodomestici o dispositivi da ufficio avete depositato in discarica, in cantina o in solaio? Se fate parte della media dei consumatori italiani, nel vostro elenco ci saranno due cellulari, un pc o un notebook, una fotocamera digitale, un monitor a tubo catodico o un televisore, o una stampante, cui potrebbero aggiungersi uno scanner, un lettore dvd e un intero esercito di piccoli dispositivi o cavi di alimentazione difettosi. I tanti difetti che rendono inutilizzabili i dispositivi lasciano interdetti: si ha la sensazione che tutto ciò non possa essere semplicemente un caso. Tutto è iniziato con semplici lampadine Al contrario di quanto si possa immaginare, il progresso ha vari modi di affermarsi. Un esempio è il seguente: quasi 90 anni fa, nel Natale del 1924, s’incontrarono, per oscuri motivi, in un lussuoso hotel di Genfer i grandi nomi dell’allora fiorente industria dell’illuminazione: Osram, Philips, General Electrics e altri crearono un cartello clandestino, denominato Phoebus. Lo scopo era fatturare di più con prodotti di breve durata. Sebbene già si producessero lampadine della durata di 2.500 ore, i dirigenti ordinarono ai rispettivi ingegneri di diminuire la durata media sistematicamente e complessivamente a 1.000 ore. Le aziende controllavano la breve vita programmata perfino delle lampadine della concorrenza, e se illuminavano troppo a lungo lo “scellerato” produttore doveva pagare una penale ai membri del cartello. Il perfido piano andò in porto: le lampadine duravano poco e le vendite aumentarono rapidamente nel corso dei secoli. Solo nel 1942 il governo americano smascherò Phoebus: furono rinvenute prove, accuratamente elencate, sotto forma di accordi scritti e documenti relativi al pagamento delle penali. Il maxiprocesso si protrasse fino agli anni Cinquanta e terminò con il successo dei membri del cartello: la sentenza vietò ufficialmente gli accordi di cartello e l’invecchiamento programmato delle lampadine, ma non furono inflitte pene miliardarie. Non sorprende che la strategia produttiva nei decenni successivi non sia cambiata, ma neanche che successivamente siano stati conclusi alcuni accordi segreti tra i membri con nomi sempre diversi. La conseguenza è che, a dispetto di tutti i progressi compiuti dalla tecnologia, ancora oggi la maggior parte delle lampadine tradizionali non supera in media le 1.000 ore di vita. Obsolescenza programmata: difettoso di fabbrica La truffa in grande stile era ed è ancora oggi un enorme vantaggio per l’industria. L’obiettivo è sempre lo stesso: guadagnare il più possibile e realizzare prodotti che durino il minimo indispensabile. Nel frattempo all’invecchiamento intenzionale dei prodotti è stato dato un nome: obsolescenza programmata. Cercando questo concetto in Google o Bing, si avranno centinaia di migliaia di riscontri, la maggior parte dei quali è rappresentata da commentatori molto arrabbiati. È innegabile che sempre più di frequente facciamo acquisti destinati a finire in pattumiera troppo presto. Il sistema economico occidentale è basato su questa spirale, incoraggiata anche dalla produzione di massa e dalla società consumistica. Il rovescio della medaglia della società “usa e getta” si trova in gran parte in Africa e Asia dove vengono scaricate enormi quantità di rifiuti elettronici. In questi Paesi le materie prime pregiate, come oro e platino, vengono fuse a fiamma viva senza maschere protettive, mettendo in serio pericolo la salute della maggior parte della popolazione povera. I vapori che ne derivano sono altamente tossici e condizioneranno la vita anche delle generazioni future. Nel settore dell’IT gli articoli nuovi e di lunga durata hanno uno scopo differente: il potenziamento progressivo e costante dei dispositivi induce i consumatori a guardare con interesse, già dopo poco tempo, alle offerte nel frattempo ottimizzate. Questo atteggiamento, favorito da una campagna pubblicitaria appositamente sviluppata e da un marketing mirato, è definito dagli economisti obsolescenza psicologica: all’improvviso ci stanchiamo del vecchio dispositivo perché i nuovi offrono molto di più. I trucchi dei produttori di chip Anche i produttori contribuiscono ad accelerare il circuito del “compra subito e butta in fretta” con astuzie e trucchi elettronici, alcuni dei quali sono elencati nella parte inferiore di queste pagine. Un trucco molto amato è danneggiare già in fabbrica i dispositivi per indurre l’utente a ispezionare la parte interna, lasciando magari segni visibili di manipolazione. Si pensi per esempio al nuovo iPad, chiuso così saldamente che è possibile aprirlo solo con un attrezzo specifico. Della stessa categoria fanno parte le batterie non sostituibili rinchiuse nel case: se nel corso del tempo perdono capacità, il dispositivo è da buttare o al massimo può essere inviato al produttore che per ripagarsi la fatica della sostituzione aumenta il co sto della batteria. Cose mirabolanti compiono anche alcuni camcorder se si usa una batteria non originale economica: un minuscolo chip di sicurezza (mediante comunicazione criptata) verifica la batteria, e se la “risposta” non è corretta farà in modo che la batteria si consumi molto più rapidamente. L’effetto che si vuole ottenere è che l’ingenuo cliente inveisca contro la batteria economica proveniente dalla Cina invece di prendersela con l’arroganza dei produttori di camcorder che vogliono vendere solo le proprie batterie. Anche con i piccoli chip contatori, i produttori possono favorire l’obsolescenza: alcune testine delle stampanti a getto d’inchiostro (e alcune batterie di digicam e cellulari) dopo un determinato periodo non funzionano più, sebbene abbiano ancora capacità utile. Spesso si rompe solo il pezzo da 5 centesimi Tutti dovrebbero sapere che nelle stampanti a getto d’inchiostro accadono cose strane. Per esempio, è risaputo che le stampanti economiche quando vengono messe a scaffale hanno le cartucce d’inchiostro riempite solo parzialmente, creando un effetto di “dipendenza” poiché l’utente da subito è costretto ad acquistare le costose cartucce originali. E affinché i serbatoi si svuotino rapidamente, molte stampanti puliscono le testine spesso lasciando la spugna imbevuta di un paio delle preziose gocce d’inchiostro. Se la spugna è piena, il firmware della stampante indica immediatamente che il dispositivo è irreparabilmente compromesso. In internet esistono tool (spesso di origine russa) che azzerano il Waste Counter, e a un tratto la stampante ricomincia a funzionare come il primo giorno. Anche il continuo calore in operatività può essere causa d’invecchiamento precoce, e ciò vale per tutti i tipi di dispositivi: il pericolo maggiore è rappresentato dai condensatori elettrolitici sottodimensionati che in mancanza di una sufficiente resistenza al calore possono rilasciare gas o scoppiare. Trattandosi di com ponenti che si trovano sulle schede di quasi tutti i dispositivi elettronici, ecco spiegati i guasti indiscriminati. La riparazione richiederebbe solo un paio d’euro ma naturalmente i produttori tengono sotto chiave gli schemi elettrici. I pezzi di ricambio quindi sono così costosi da rendere inutile la riparazione. In fondo si spende meno acquistando un dispositivo nuovo. Quanto detto vale anche
per i televisori a schermo piatto: da tempo non esistono più tv che durano dieci o vent’anni. È tutto il contrario: molti clienti che utilizzano per la prima volta un televisore di questo tipo si spaventano se lo schermo a led da 46 pollici all’improvviso si rompe perché la retroilluminazione ha smesso di funzionare. Diabolici sono anche gli economici tasti di accensione dei display che alcuni produttori bloccano con una molla in plastica e non di metallo: se si rompe non arriva più corrente quando si preme il tasto, e sullo schermo non compare l’immagine. Gli utenti, precipitosamente, considerano defunto il display sebbene si sia rotto solo un pezzo da 5 centesimi. La protesta nasce su internet La maggior parte di questi trucchi escogitati dai produttori purtroppo non si può dimostrare. Per gli utenti le prove da portare in tribunale sono difficili da reperire, ed eseguire lunghi test su tutti i prodotti sovraffaticherebbe i grossi centri come il nostro test center. Un’eccellente fonte d’informazione sarebbero gli ingegneri delle grandi aziende IT, ma di solito preferiscono conservare il posto di lavoro. La protesta si concentra dunque nei forum, nei blog, su Facebook e sui siti internet in generale, dove sempre più spesso si trovano soluzioni per recuperare dispositivi in apparenza non più riparabili o per riciclare alcuni componenti come le batterie. Per non finire nel mirino della protesta, i produttori possono fare qualcosa per allontanare il sospetto di obsolescenza: dare ai prodotti garanzie più lunghe spontaneamente, rendere disponibili sui rispettivi siti web documentazioni dettagliate del prodotto e proporre i pezzi di ricambio a prezzi più vantaggiosi.