«Non commento». Antonio Ereditato, lo scienziato che aveva annunciato la possibilità che il neutrino viaggiasse più veloce della luce, non aggiunge una parola alle dimissioni rassegnate da coordinatore del gruppo internazionale di fisici impegnati nell’indagare la più effimera delle particelle nucleari. I 160 ricercatori di numerosi Paesi, dall’Europa al Giappone, hanno votato una mozione e con una «lieve maggioranza» è prevalsa la sfiducia nei confronti di Ereditato che ha deciso quindi di abbandonare. «La vicenda ci ha insegnato molto» nota Fernando Ferroni, presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare da cui dipende il Laboratorio del Gran Sasso dove l’esperimento Opera cattura i neutrini sparati dal Cern di Ginevra. «La misura aveva probabilità altissime di essere non corretta — aggiunge — e in scienza non è come in politica: chi sbaglia paga. Le regole sono sempre state chiare e quando Ereditato ha detto alla comunità scientifica trovatemi l’eventuale errore è stato “astrattamente onesto”: bisognava prima effettuare altri test». La storia del neutrino più veloce della luce era scoppiata improvvisa il 22 settembre con un articolo di Antonino Zichichi su «Il Giornale» che anticipava quanto il giorno dopo il gruppo di Antonio Ereditato, fisico napoletano docente di fisica all’Università svizzera di Berna, avrebbe presentato al Cern di Ginevra. La notizia, come era comprensibile, faceva inevitabilmente il giro del mondo perché se fosse stata vera avrebbe demolito un valore fondamentale della fisica finora indiscusso nonostante lemiriadi di prove effettuate e sul quale Albert Einstein aveva costruito la sua teoria della relatività speciale. Einstein tramontava e la fisica andava oltre con immagini da fantascienza. Subito emergevano pesanti critiche e in prima fila c’era i l Nobel S h e l d o n L e e Glashow. Erano comunque prevedibili: «Anche i primi risultati di Carlo Rubbia erano stati giudicati male, ma poi… », ricorda Ferroni. I rappresentanti del gruppo spiegando al Cern in un affollato incontro il presunto clamoroso risultato aggiungevano che «tutto quello che era edibile e immaginabile era stato verificato ma che comunque i controlli proseguivano ». Nell’occasione si invitavano i ricercatori interessati a compiere analoghe indagini. Così sia in Giappone che negli Stati Uniti si mobilitavano. Un contributo involontario alla popolarità della storia lo garantiva anche il ministro dell’Università e della Ricerca Maria Stella Gelmini con un comunicato indimenticabile nel quale dopo gli elogi alla genialità degli scienziati evocava un fantomatico tunnel lungo 730 chilometri in cui il neutrino avrebbe compiuto la sua prodezza. Il giorno dopo, però, scopriamo che non tutti i fisici coinvolti erano d’accordo nell’annunciare il presunto risultato. Circa una trentina dissentivano e non avevano firmato il lavoro: chiedevano di approfondire. Le ricerche, comunque, proseguivano e poco dopo la metà di novembre, adottando una nuova tecnica per il viaggio delle ormai familiari particelle, si otteneva lo stesso risultato: la luce era ancora più veloce. Il sogno, tuttavia, svaniva improvvisamente tremesi dopo, il 22 febbraio, quando la rivista americana Science anticipava una notizia: lo stesso gruppo di Ereditato aveva individuato una connessione difettosa nei cavi dell’esperimento Opera al Gran Sasso che influiva sui calcoli del tempo e dalla quale, appunto, si originava l’anticipo di 60 nanosecondi. Sembrava incredibile e si capiva subito che la vicenda si stava chiudendo ingloriosamente. Il Nobel Carlo Rubbia con il suo esperimento Icarus, anch’esso al Gran Sasso, il 16 marzo dimostrava l’errore commesso e il 29marzo un altro esperimento di Antonino Zichichi aggiungeva conferma. «Ora tutti i protagonisti di Opera—conclude Ferroni— devono ritrovare la loro unità per continuare le ricerche volte a scoprire le enigmatiche trasformazioni del neutrino e non la sua velocità rispetto alla luce». «Apprezzo il gesto, la collaborazione deve proseguire» commenta Sergio Bertolucci, direttore scientifico del Cern. Fine della storia.